Ieri, domenica, nel tardo pomeriggio poltrivo, con un difficile libro in mano che stentavo a finire (l'ho finito dopo nella vasca da bagno: me l ha regalato un amico romano La vita e il tempo di Michael K di Coetzee: orrendo, mi spiace amico mio). Avevo la televisione aperta.
Su rai tre c’era una trasmissione carina.
La conduce Neri Marcorè insieme ad una specie di giudice (Dorfles) gran lettore. È una gara fra scuole.I ragazzi (le scuole) vincono solo libri e non pacchi di migliaia di euro aprendo scatole.
Mi sembra leggermente più morale.
Va be, questo non importa (o importa ?).
Se ho capito bene in ogni trasmissione c’è un ospite sempre più o meno letterario. Ieri era Davide Riondino grazie al quale ho scoperto che è esistito un poeta italiano che si chiamava Ernesto Ragazzoni, uno straordinario personaggio di fine ottocento primo novecento, rivoluzionario o forse ribelle solamente, certamente ironico, satirico, attaccabrighe.
Riondino ha recitato una lunga poesia, un inno al verme solitario.
Bellissima.
Ma Ragazzoni, ho scoperto oggi, ha scritto molto altro.
Critiche politiche e sociali sempre ironiche, sempre non banali, totalmente innovative, assolutamente prefuturiste se mi passate il termine.Un giorno, siamo all’inizio del novecento, è apparso su un giornale un attacco, anche se gentile, contro chi assiste i cani: sapete che a me i cani piacciono. A Ragazzoni non so se piacessero, ma difendeva sempre e comunque i deboli.
I cani erano attaccati ? Lui li difendeva.
Direte: ma che ce ne importa di come Ernesto Ragazzoni difendeva i cani ?
Be’ a me non importa che non ve ne importi e vi scrivo quindi il suo
” Inno alla riscossa “ scritto ‘’ per i poveri cani proletari “
O barboni, o veltri, o alani,
levrieri, bracchi ... eccetera,
come mai, poveri cani,
si perpetua e s'invetera
l'abitudine tra voi
di lasciar che vi si domini
e di avere in conto gli uomini
di padroni, o amici, o eroi ?
Come mai tale opinione
s'è potuta radicar ?
Forse in grazia del bastone,
forse in grazia del collar ?
Anche noi, cani, noi stessi,
tali e quali se voi fossimo
non restiamo sottomessi
e teniamo in conto il prossimo
che in omaggio del guinzaglio,
e facciam la voce querula
salvo, a volte, per isbaglio
sol per tema della ferula;
e anche noi, cani, parola!...
è spessissimo in virtù
della sola museruola
che non s'osa morder più.
Ma noi, cani, noi siam bestie
così dette ragionevoli,
e quest'utili molestie
accettammo consapevoli,
per paura che i più scaltri
non addentino i più ingenui,
e costor non meno strenui
si divorin gli uni e gli altri.
Ma voi, cani, anime buone,
perché starvene così
ligi ai cenni del padrone
che vi sfrutta, anche, ogni dì ?
Certamente, tra voi pure
c'è il felice, il ricco, il nobile
che non ha che sinecure,
che viaggia in automobile,
che la notte dorme al morbido,
ed il dì fa lunghe sieste
senza mai un sogno torbido
sovra il lembo di una veste,
che s'impinza di biscotti,
va in carrozza, ai bagni, ed è
ricevuto nei salotti,
tra le dame, come un re.
Non a questi io mi rivolgo,
ma a voi miseri, a voi poveri
cani paria, cani volgo:
guardie vigili ai ricoveri
del pastore ed ai suoi greggi,
servi ai giochi, ai cenni, ai sibili
delle genti più impossibili,
alle caccie ed ai passeggi,
e maestri all'uomo d'una
sconosciuta qualità,
che però non ha fortuna
pur tra voi: la fedeltà.
Ah! non più vita da cani,
o miei cani! ed io non dubito
che potreste da domani
esser liberi e anche subito,
se un po' meno compiacenti,
e un po' meno all'uomo accoliti
digrignaste meglio i denti
come spesso noi siam soliti.
Cani, è in simile maniera
che sappiam farci obbedir...
Su!... alla libera bandiera
splende il sol dell'avvenir!
Tratto da «La donna», Torino-Roma. 5 settembre 1905, n. 17, p. 19
Andrea
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