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Consigli da un amico

L'amore richiede tempo di Andrea Comini

Gesto nobile quello di adottare un amico tra le centinaia di migliaia rinchiusi nei canili, meglio ancora se viene da uno dei tanti, troppi, “lager” per creature innocenti che sono una delle più tristi vergogne d’Italia. Scelta d’amore, verrebbe da dire. Ma… c’è un ma: troppo spesso il nobile gesto viene seguito da un rapido quanto vile dietro-front e il povero cane si ritrova di nuovo chiuso in gabbia dopo aver avuto appena il tempo di “annusare”, finalmente, una vita decente. Persino peggio che non conoscerla mai!
Eppure, salvo casi veramente sfortunati, basterebbe poco per evitare che un nobile gesto si tramuti in una vergognosa fuga di fronte alle proprie responsabilità. Basterebbe un po’ di informazione preventiva sugli eventuali problemi di adattamento. Ecco qualche caso “classico”.

Sporca in casa

In canile, la vita è scandita da pochi eventi fissi: pappa, pulizia della gabbia con canna dell’acqua, forse una breve passeggiata una volta la settimana e qualche coccola frettolosa da parte dei volontari, oberati di lavoro perché sempre in sottonumero rispetto agli “ospiti”. Punto. Naturalmente se non siamo in un canile-lager, perché in tal caso la faccenda somiglia più a un girone dell’inferno che a una triste seppure decorosa prigione per quattrozampe. Ma in entrambi i casi, il cane si ritroverà comunque nella condizione di “farla” quasi sempre nella stessa gabbia in cui si trova. Non per scelta (i cani adulti odiano vivere tra escrementi e urina) ma perché non può uscire. Guarda caso, molti tra coloro che riportano indietro il cane dopo pochi giorni dall’adozione lo fanno proprio perché… sporca in casa! Ora, basterebbe armarsi di un po’ di pazienza, secchio, strofinaccio e qualche bocconcino per risolvere il problema nell’arco di pochi giorni. E, naturalmente, portare fuori il cane almeno quattro volte al giorno, già. Arrabbiarsi non serve a nulla: fare i suoi bisogni è per lui la cosa più naturale del mondo e la nostra disapprovazione non potrà essere capita in alcun  modo. Invece, gratificarlo quando li fa fuori casa serve eccome!

Non torna quando lo chiamiamo

Spesso e volentieri, prima dell’abbandono, durante la vita randagia o in canile, il cane conosce il maltrattamento, le “botte”. Può essere stato l’indegno ex proprietario a picchiarlo oppure un estraneo incontrato nei suoi tristi vagabondaggi alla ricerca di cibo, o anche il personale del canile (sì, non sono tutti “angeli”…). Poche ore trascorse insieme al nuovo amico a due zampe non possono bastare a cancellare la paura di “prenderle”, soprattutto se chiamiamo il cane con voce spazientita perché, rapito da un odore trovato in un prato, non torna all’istante. Prima di liberare un cane adottato in un’area aperta, quindi, bisogna ricostruire la sua fiducia nel genere umano. Ci vuole dolcezza e pazienza. All’inizio, se abbiamo il dubbio che non si fidi troppo di noi (e ci vuole poco a capirlo…), liberiamolo solo in aree recintate. E ogni volta che torna, perché chiamato o di sua spontanea volontà, diamogli un bocconcino e una carezza. Ci metterà poco a imparare che da noi riceverà solo amore.

Aggredisce gli altri cani

Qui la faccenda è più complessa. Ci sono cani che non sanno convivere con i loro simili e le ragioni possono essere tante. Poi ci sono soggetti che hanno imparato in canile o per la strada che gli altri cani sono dei concorrenti: poco cibo per tanti affamati crea rivalità feroci, anche tra gli esseri umani. A volte, invece, la causa siamo noi. O meglio, l’immenso valore che l’adozione ha per il cane abbandonato. Ritrovare una casa, una famiglia, cibo, calore e affetto significa ritornare alla vita dopo aver trascorso giorni, mesi o anni nella zona d’ombra prossima alla morte che la solitudine rappresenta per il cane, animale di branco che ha bisogno degli altri, a due o a quattro zampe, per avere fiducia nella sopravvivenza. Ecco perché potrebbe attaccare i cani che si avvicinano a noi: per lui abbiamo un valore immenso e non vuole rischiare che qualcun altro se ne appropri. Anche in questo caso, la cura spesso è il tempo. Raggiunta una buona sicurezza del fatto che il nuovo “branco”, cioè noi, l’ha definitivamente adottato, la sua preoccupazione potrebbe scemare. Ma non sempre. In tal caso, assumiamoci la nostra responsabilità evitandogli possibilità di scontro con i rivali.

Non ci lascia mai soli

Il motivo è talmente ovvio che non avrebbe bisogno di spiegazioni: ha paura di perderci, di ritrovarsi nuovamente solo. Succede, ed è facile comprendere come si senta il nostro nuovo amico ogni volta che ci allontaniamo. Se all’inizio ci segue come un’ombra per tutta la casa e quando usciamo cerca di seguirci, se lasciato solo o confinato in un’altra stanza, magari di notte, ulula e abbaia per chiamarci, non c’è niente di strano, lo fanno spesso anche i cuccioli senza abbandoni alle spalle appena arrivati a casa. Poi, piano piano, si abituerà, di pari passo con la crescita della sua sicurezza circa la nostra definitiva accettazione della sua presenza nel “branco”. Se così non fosse, e potrebbe capitare come capita anche con cani non abbandonati, dovremo aiutarlo ad abituarsi ai momenti di solitudine adottando un programma di “separazioni” calcolate, con l’aiuto di un serio esperto di comportamento canino. Non è difficile, serve solo un po’ di costanza e attenzione.

Pensiamoci prima, non dopo

Sembra incredibile ma quanto illustrato fin qui copre buona parte delle cause di restituzione dei cani adottati dai rifugi. Cause banali e quasi sempre rimediabili, se le si esamina con un minimo di cultura specifica. Il problema è che tale cultura è poco diffusa. Anche tra coloro che adottano un cane abbandonato, quanti si prendono la briga di informarsi prima sui possibili problemi che dovranno affrontare? E a monte, quanti cani finiscono nei canili la prima volta proprio perché chi li prende lo fa senza un minimo di preparazione? Per evitare di creare infelicità, spesso basterebbe un minimo di cultura cinofila, oltre a un po’ di pazienza: l’amore, quello vero, richiede tempo. 

 
 
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